Già è difficile accettare la sfida e stare a
sentire l’infelicità – sempre poco credibile- dell’alta borghesia in un’epoca
dove l’alta borghesia è diventata altissima, distante come non mai da
quel 99% che vedemmo stampato sui cartelli nelle manifestazioni
anti-finanziarie appena qualche anno fa.
"I think I like the image of life better than life because I don't think real life is as satisfying as film." — François Truffaut
giovedì 29 marzo 2018
sabato 10 marzo 2018
SOCIETA' AMERICANA E RAZZISMO. MOONLIGHT. P. BIANCHI, Recensione, CINEFORUM, 16 febbraio 2016
Per riuscire ad apprezzare l’importanza di un film come Moonlightbisognerebbe mostrare prima di ogni proiezione del film, quasi come se fosse una “premessa”, almeno la prima parte di uno splendido documentario uscito lo scorso autunno negli Stati Uniti e poi su Netflix: 13th di Ava DuVernay. Nel ricostruire la persistente eredità della schiavitù nell’America contemporanea la DuVernay – regista black tra le più politicamente raffinate e lucide in circolazione – descrive il momento in cui, nei primi anni Ottanta durante il boom dell’internamento carcerario delle comunità di afro-americani, la war on drugs di Reagan iniziò a diventare parte della cultura popolare. L’esempio più eclatante è il controversissimo show televisivo Cops, dove una telecamera segue dei poliziotti in servizio intenti nella ricerca e nell’arresto, spesso conditi con spettacolari colluttazioni, di piccoli criminali da strada. Bad boys, bad boys / whatcha gonna do, whatcha gonna do /when they come for you («Cattivi ragazzi, che cosa farete quando vi verranno a prendere?») si cantava nella sigla. E non è forse un caso che tutti questi “cattivi ragazzi” fossero sempre e sistematicamente neri.
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