mercoledì 26 agosto 2020

ASPROMONTE. LA TERRA DEGLI ULTIMI (2019). UN FILM DI M. CALOPRESTI. M. RIZZO, "Aspromonte, la terra degli ultimi", quando il Cinema indaga sulle disuguaglianze, REPUBBLICA.IT, 11 gennaio 2020

 ROMA – Il film di Mimmo Calopresti, "Aspromonte, la terra degli ultimi", prodotto da Federica e Fulvio Lucisano (che compare nelle scene finali), si arrampica nell’ultima delle montagne della Sila più aspra dell’Aspromonte, eppure vicina al mare, e denuncia come la mancanza di infrastrutture, luce, assistenza, possano togliere ogni forma di dignità, in ogni tempo e in ogni parte del mondo in cui lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo diventa motivo di lotta per la liberazione.




lunedì 17 agosto 2020

MEMORIE DI UN ASSASSINO (2003). UN FILM DI BONG JOON-HO. LA NORMALITA' DEL MALE. RECENSIONE. 17 agosto 2020

 Davvero singolare nella sua ambientazione di fine anni Ottanta nelle campagne sud-coreane lontane dalla capitale Seul. Un omicida seriale uccide giovani donne con qualcosa di rosso addosso, nelle notti di pioggia e in concomitanza con una canzone, sempre la stessa, trasmessa, in quelle notti, da un'emittente locale. Ai due poliziotti locali dai metodi sbrigativi e violenti si affianca un detective spedito dalla capitale. Sulle prime sembrerebbe un poliziotto capace di usare altre strategie investigative, ma alla fine anch'egli cede al paradigma lombrosiano-frenologico in base al quale il colpevole deve presentare tratti del volto particolari. Ma il colpevole non si troverà. Anni dopo (dal 1986 si passa al 2003) uno dei due poliziotti locali, che ha cambiato, nel frattempo, lavoro in una Corea modernizzatasi, si ritrova a passare nelle campagne dove aveva visto, 17 anni prima, il primo cadavere della serie nascosto in un canale.


Altri articoli:

Raganelli, Intervista, 2019
Ryuzaki, Quattro chiacchiere con Bong Joon Ho, 2020
Barducci, Recensione, 17 febbraio 2020
Di Giorgio, Recensione, giugno 2020

sabato 15 agosto 2020

PASOLINI E LA PAURA DELLA REALTA'. A. CELESTINI, La poesia dell’errore, IL MANIFESTO, 15 agosto 2020

 Due paginette di Empirismo Eretico sono un piccolo testamento nel quale Pier Paolo Pasolini lascia una sua ossessione letteraria e umana, quasi pescata dall’inconscio.

«Se attraverso il linguaggio cinematografico io voglio esprimere un facchino, prendo un facchino vero e lo riproduco: corpo e voce» cioè «con la sua faccia, la sua carne e la lingua con cui lui si esprime». Moravia non è d’accordo e sostiene che quell’attore può anche essere un facchino vero, ma non deve parlare, altrimenti è cinema naturalistico. Bernardo Bertolucci gli risponde che bisogna prendere la bocca del facchino e metterci dentro «parole filosofiche» come fa il suo Godard. Così «finisce la discussione perché nessuno potrà mai togliere dalla testa di Moravia che ‘il cinema sia immagine’» e «nessuno potrà mai togliere dalla testa di Bertolucci che i facchini devono parlare come filosofi».

E QUI PASOLINI si chiede per quale motivo un facchino vero non possa stare in silenzio o parlare come un filosofo pur continuando a essere un facchino della realtà. Si chiede il perché di «tanta paura del naturalismo». Questo timore non «nasconderà, per caso, la paura della realtà?». Per il poeta quel facchino del cinema deve essere un facchino morto e, dunque, le parole che pronuncia saranno quelle che «si iscrivono nella memoria come epigrafi». Parole reali, ma risultato di una sintesi. Non bisogna averne paura. (...)

venerdì 31 luglio 2020

'FAVOLACCE'. INTERVISTA AI REGISTI. B. FIORENTINO, «I bambini sono gli unici che hanno dignità», IL MANIFESTO, 26 febbraio 2020

I bambini di Favolacce? «Siamo io e Damiano da piccoli» – raccontano i fratelli D’Innocenzo a Potsdamerplatz, a poche ore dalla premiere del loro secondo film alla Berlinale, due anni dopo il potente esordio con La Terra dell’abbastanza. «Nel nostro film ci sono ricordi della nostra infanzia, ma anche letteratura e cinema, perché questo non è un racconto autobiografico. 


martedì 14 gennaio 2020

CINEMA E POLITICA. IL FILM DI G. AMELIO SU CRAXI. F. FERZETTI, Hammamet, un grande Pierfrancesco Favino per un piccolo film, L'ESPRESSO, 14 gennaio 2020

vecchio carroarmato è arenato nella sabbia africana dai tempi dell’ultima guerra. Imponente ma inoffensivo, trasmette una hybris luciferina e insieme una solitudine definitiva, minerale. Insomma è la perfetta metafora di quell’uomo malato e costretto all’autoesilio, un esilio che molti chiamano fuga. Così, davanti a quel residuato bellico il Presidente (nel film Craxi resta innominato) decide di parlare. Di raccontare tutto a quel ragazzo venuto da lontano per ucciderlo (Luca Filippi), a cui però non può non voler bene. Perché gli ricorda se stesso da giovane. 

Perché è il figlio di un vecchio compagno suicida (memorabile Giuseppe Cederna) che aveva intuito fin dall’inizio come sarebbe andata a finire. Perché ha occhi da angelo vendicatore e una pistola nello zaino. Oltre che una videocamera con cui riprende l’ex-leader. Anche se non sapremo mai cosa questo gli dica.

giovedì 9 gennaio 2020

GIANNI AMELIO E IL FILM SU CRAXI. D. TURRINI, Hammamet, Gianni Amelio sceglie l’agiografia da santo laico per Craxi: un’assoluzione totale. Resta solo l’immensa interpretazione di Favino, IL FATTO, 8 gennaio 2020

ettino Craxi nostalgia canaglia. L’Hammamet di Gianni Amelio è quello che in parecchi si aspettavano: la santificazione dell’ex presidente del consiglio e un’immensa prova di Pierfrancesco Favino. Tanto era astratto e universale il minimalismo del cinema di Amelio fino all’altro ieri, tanto è inchiodato come un Cristo alla storia questo Bettino vittima dei cattivi magistrati negli ultimi sei/sette mesi di dolorosa sua vita in quel di Hammamet. Agamennone, Cassandra, Re Lear. A sfogliare il pressbook ricevuto all’entrata di un’anteprima attesa quanto forse più del Tolo Tolo di Zalone, l’ultimo vano tentativo di indirizzare l’opera sulla falsariga della tragedia classica cade inesploso appena prima dei titoli di testa.

GIANNI AMELIO E IL FILM SU CRAXI. P. ARMOCIDA, Il racconto lucido di una vita a pezzi tra flashback e la "villa-prigione", IL GIORNALE, 9 gennaio 2020

«Il presidente bambino», «il figlio del presidente», «la moglie del presidente», «l'amante» e così via.

CINEMA E POLITICA. GIANNI AMELIO E IL FILM SU CRAXI. C. PICCINO, Il Presidente fra i fantasmi di un tempo estinto, IL MANIFESTO, 9 gennaio 2020

Nei confronti di Craxi, ha raccontato Gianni Amelio in questi giorni, lui non ha mai avuto simpatia, anzi la sua «prepotenza» e il suo «presenzialismo» esibiti quando era al potere lo infastidivano persino. Poi sono arrivati i giorni di Tangentopoli, le inchieste del pool di Mani Pulite, all’alba degli anni Novanta, i processi che smontano il sistema politico italiano fino allora al potere di cui il leader del partito socialista è subito uno dei principali imputati.

CINEMA E POLITICA. GIANNI AMELIO E IL FILM SU CRAXI. P.L. BATTISTA, Craxi, no alla memoria distorta: recuperiamo la cultura riformista, CORRIERE.IT, 9 gennaio 2020

Questo articolo è stato pubblicato su «la Lettura» #418 del 1° dicembre 2019
Un film di un grande del cinema italiano, Hammamet di Gianni Amelio, e il ventesimo anniversario, che sarà celebrato proprio ad Hammamet, della morte del leader del Partito socialista possono finalmente mettere fine alla leggenda nera che ancora oggi circonda la vicenda storica, politica e umana di Bettino Craxi. Per smettere di appiattirla e svilirla come mera vicenda giudiziaria, addirittura come fatto criminale: una losca storia di guardie e ladri, la demonizzazione di una memoria che distorce ciò che il craxismo è stato nelle vicissitudini della sinistra italiana di cui Craxi, invece messo al bando simbolicamente come se fosse un Al Capone travestito da leader politico, ha avuto per quasi vent’anni un ruolo centrale.

lunedì 6 gennaio 2020

INTERVISTA CON M. GARRONE. F. DAVI, INCONTRO CON MATTEO GARRONE, NONSOLOCINEMA, 11 novembre 2004

Il regista Matteo Garrone si racconta al pubblico, dopo la proiezione de "L'imbalsamatore"
La formazione
“La fotografia, il teatro e la pittura costituiscono la mia formazione: mio padre è un critico teatrale, mia madre una fotografa ed io ho frequentato il liceo artistico. Dopo il diploma ho lavorato per qualche anno come aiuto operatore con Marco Onorato (che resterà al suo fianco in tutti i suoi lavori, NdR).

INTERVISTA CON M. GARRONE. N. MIRENZI, "Viviamo in un Nuovo Medioevo". Intervista a Matteo Garrone, HUFFPOST, 27 maggio 2018

Il tempo è stato suo complice: "Avevo in mente questo film da dodici anni. Quando ho finalmente deciso di farlo, l'ho finito in sei settimane, due prima del previsto, quasi di getto. L'ho girato con la precisione maturata attraverso Il Racconto dei racconti e, allo stesso tempo, con la libertà che sentivo nei miei primi film".