«A Chiara» di Jonas Carpignano, dopo essere stato selezionato al Festival di Cannes, arriva nelle sale il 7 ottobre. È lo sguardo di una ragazza innocente sulla mafia. La nostra intervista e una clip in anteprima del film
Jonas Carpignano firma A Chiara, il suo film più maturo, selezionato alla Quinzaine Des Réalisateurs del Festival di Cannes e vincitore del premio Europa Cinemas Label. Il terzo capitolo della trilogia su Gioia Tauro, in Calabria, iniziata con Mediterranea (2015) e proseguita con A Ciambra (prodotto anche da Martin Scorsese), arriva nelle sale il 7 ottobre. Questa volta il regista, cresciuto tra New York e Roma, segue la quindicenne Chiara (interpretata dalla sorprendente Swamy Rotolo), una ragazza apparentemente come tante, divisa tra amici, famiglia e scuola.
Un giorno scopre che il padre (Claudio Rotolo), sparito da un po’ da casa, è colluso con la ‘Ndrangheta e latitante perché accusato di associazione a delinquere per traffico di stupefacenti. Il mondo le crolla addosso, ma, con coraggio e determinazione, inizia il suo cammino interiore, alla ricerca della propria libertà e della vera natura del padre.
Jonas perché ha scelto di occuparsi del punto di vista di una ragazza?
«Volevo raccontare la mafia attraverso uno sguardo diverso: sapevo sin dall’inizio che non avrei girato un gangster movie sull’attività criminale di Gioia Tauro. L’idea è partita quando una persona che conoscevo a malapena diventa latitante. Conoscevo invece sua figlia di 8 anni e ho visto gli strascichi che quell’evento ha avuto su di lei. Ho deciso in quel momento di voler scrivere un film sulle conseguenze che quel mondo ha su una ragazza e sulla sua famiglia».
A Chiara racconta la mafia in maniera quasi intima rispetto ai film e alle serie tv che circolano.
«Spesso attraverso i giornali, i film o le fiction vengono raccontati gli aspetti più spettacolari di quell’universo. In dieci anni a Gioia Tauro non ho mai visto una sparatoria. Per me era importante ridimensionare la componente spettacolare e dare più importanza ai rapporti umani che esistono dentro e fuori da questo contesto».
Che cosa ne pensa di serie come Gomorra o Suburra?
«Le guardo, sono divertenti, ma non sono nelle mie corde. Io volevo fare qualcosa di diverso. E non è una forma di ribellione, è semplicemente un altro approccio al cinema, è l’altra faccia della medaglia di uno stesso argomento».
Ha chiuso in bellezza la trilogia di Gioia Tauro. Quale sarà il suo prossimo progetto?
«Non ho intenzione di lasciare Gioia Tauro, Palermo e i loro contesti sociali. Dagli Stati Uniti mi sono trasferito con la mia famiglia qui perché volevo lavorare in Italia e raccontare il Sud verso cui provo una forte appartenenza».
Il Sud l’ha cambiata?
«Sono cresciuto scoprendo il Sud. Dal momento in cui mi sono trasferito c’è stato il vero cambiamento: la vita mi ha letteralmente travolto e coinvolto: ho iniziato a indagare per capire».
A Ciambra lo aveva prodotto Martin Scorsese. Che cosa ne pensa di A Chiara?
«Sto aspettando il suo responso, nell’ultimo periodo era molto impegnato in Oklahoma sul set del suo nuovo film (Killers of the Flower Moon ndr). Non è ancora riuscito a vederlo. Comunque ho appena consegnato un Blu-Ray di A Chiara al suo assistente che era in vacanza in Italia. Presto lo porterà a Martin che lo vuole vedere nella sua sala di proiezione. Di link in streaming non ne vuole sentire parlare». (Sorride, ndr)
Nessun commento:
Posta un commento