Torna nelle sale solo per tre giorni Ultimo Tango a Parigi di Bernardo Bertolucci, il 21, 22 e 23 maggio in versione rastaurata. Chi lo vide alla sua uscita nel 1972, lo ricorda nella magnifica luce appena offuscata dal fumo delle sigarette, allora si fumava tanto al cinema, aggiungeva un filtro supplementare alle ottiche. Era anche l’anno del gran pezzo dell’Ubalda, di Gola profonda, dei racconti di Canterbury, della Cagna e altrettanti film politici come il Caso Mattei di Rosi o Sbatti il mostro in prima pagina di Bellocchio.
Questo ritorno in sala suscita lo stesso scalpore della sua uscita, gli è rimasta un’aura mitologica, forse anche un desiderio di vedere comunque e ancora film di Bernardo Bertolucci dopo Io e te del 2012. Ne parliamo con un critico e storico del cinema Adriano Aprà da sempre amico del regista, fondatore della rivista Cinema e film che provocava in quegli anni con accese discussioni a cui partecipavano anche certi autori.
Il fatto che venga proiettato dopo tanto tempo secondo te che corto circuiti di memoria provoca?
«Ultimo tango a Parigi» è stato un film sempre molto famoso, intanto per le sue qualità, poi per Marlon Brando che è incredibile che un regista che allora era ancora piuttosto giovane abbia potuto non solo convincere ma addirittura dirigere. E alla sua maniera, sua di Bernardo, farne un suo personale personaggio. Questa è un’impresa che se ripensiamo a quei tempi è notevolissima. Bernardo è sempre stato un grande direttore di attori, il che non è semplice perché ti scontri con delle personalità che pretendono di dirigere loro. Marlon Brando è anche regista, ha fatto film con registi minori per poter essere lui il padrone della scena. In questo caso il padrone della scena è stato Bernardo. Poi lo scandalo, il sequestro, tutto quello che è successo attorno a questo film… tra parentesi mi ricordo il vecchio Alessandro Blasetti, uno della vecchia guardia che non era stato affatto scandalizzato dal famoso burro, anzi trovava la cosa notevole, autentica. Comunque lo scandalo ha certamente contribuito alla fama del film. Io credo che comunque il film sarebbe andato molto bene nelle sale, ma lo scandalo e l’attesa dello scandalo come spesso succede nei film censurati ne ha aumentato il potenziale. La sfortuna di di vedersi sequestrato il film, di vedersi tolto il diritto di voto che al momento sembrava una sconfitta, in realtà è stata una vittoria di Bernardo, ha contribuito alla sua fama. Da quel momento in poi è diventato una star internazionale.
Anche prima aveva già lavorato con attori famosi
Trintignant non è Marlon Brando, stiamo parlando di Hollywood oltre al fatto di mettere accanto a Marlon Branco una debuttante perché Maria Schneide era una sconosciuta che ha avuto una carriera purtroppo infelice perché dopo quello e il film di Antonioni Professione Reporter, mi pare che non abbia fatto più nulla di rilevante.
Un ulteriore scandalo sono state le sue dichiarazioni per il trauma subito durante la lavorazione dell’«Ultimo Tango»
Potrebbe anche dire che è stata rovinata da Antonioni. Una ragazza giovane con un successo così clamoroso al debutto è stata bruciata, ma non per colpa dei registi. Comunque io ricordo in occasione della morte di Maria Schneider una dichiarazione di Bertolucci molto sentita, accorata. Il film lo vidi prima del sequestro, la stessa cosa è avvenuta con Salò, io lo vidi prima del sequestro in una proiezione privata. Salò è un’altra dimensione di sconvolgimento: Salò capisco che è un film veramente scioccante, ma per me il problema censorio di Ultimo Tango non esiste. Poi c’è un altro elemento: lui ha lanciato Gato Barbieri, un argentino che era un amico di Gianni Amico, apparteneva al gruppo della nuova musica che Gianni Amico seguiva molto da vicino e credo che tramite lui Bernardo abbia conosciuto Gato, e ha affidato a lui che era quasi sconosciuto la colonna sonora del film e così lo ha lanciato internazionalmente ed è diventato un divo anche lui. Bernardo non solo è capace di lanciare i divi, ma di creare i divi. Poi non ricordo bene quanti film avesse già fatto Storaro, ma anche lui è diventato una star e non credo che all’epoca di Ultimo tango lo fosse. È un film che ha trasformato la carriera di Bernardo, trasformato la carriera di Gato e di Storaro, che ha lanciato se pur per breve tempo la carriera di un’attrice che subito Antonioni ha preso. Io ero ammirato dalla capacità che aveva all’epoca, poi è cambiato moltissimo in pochissimi anni. Io l’ho conosciuto da ragazzo, ho seguito la carriera di quello che per me era un fratello, fino a che ha fatto Partner e anche Strategia del ragno. Poi ha avuto uno scatto che non mi sarei mai aspettato, tant’è vero che al momento del Conformista, io che ero molto «fuori rotta» che cercavo cose «strane» come Prima della rivoluzione, rimasi un attimo perplesso, mi sembrava che Il conformista era diventato Bernardo, poi con gli anni mi sono ricreduto. Penso addirittura che Il conformista sia il suo film se non il più bello, certamente uno dei suoi film più belli, superiore in un certo senso anche a Ultimo Tango che pure fu un film che all’epoca mi piacque.
Nell’epoca in cui è uscito c’era il fenomeno dei film sexy in Italia: l’allentamento delle maglie della censura come arma di distrazione dei movimenti politici, parallela a quella più pesante dell’introduzione delle droghe.
Probabile, questa è un’osservazione di tipo sociologico. A parte che lo sappiamo che la censura non censura i brutti film, i censori sono dei repressi che nel momento in cui sentono il sapore dell’arte si sentono toccati sul vivo. Io all’epoca non sono mai entrato in una sala di film soft porno. Non per pregiudizio, anzi quando andavo a New York ho frequentato le sale porno, sapendo cosa andavo a vedere, non un film porno qualunque, ma di quel tale autore, perché c’erano autori come Damiano. Tutto questo non ha nulla a che fare con il film di Bernardo, da questo punto di vista il suo è un film supersoft.
Più che altro è un film romantico
C’è molto l’elemento bataillano dell’«amore e morte». Non è che lui abbia voluto fare un film per solleticare il pubblico.
Ti chiedevo della genesi del film, perché tu lo hai frequentato, per capire quella rapida trasformazione.
Sì ma non tanto in quel periodo quanto quando era semisconosciuto. In quel periodo già lo frequentavo di meno. Credo che sia un film nato come un «petit film», appunto, una storia romantica, una storia d’amore, sostanzialmente intimista e che strada facendo con l’arrivo di Marlon Brando è diventata una produzione importante. Se tu togliessi Marlon Brando e mettessi un attore di minore rilievo divistico, ti renderesti conto che è un film quasi fatto in casa. Come tipologia di cinema non è un colossal, tutt’altro. Diventa colossal quando c’è una icona come Marlon Brando.
Nella nouvelle vague di tutti i paesi, anche nel free cinema, c’è sempre la ricerca della casa nuova, della casa vuota, del trasporto di mobili...
Gli appartamenti in Godard specialmente negli anni Sessanta sono sempre appartamenti in via di essere completati, sono provvisori. Non c’è «la casa». In Bernardo arriva molto dopo. Casa vuol dire anche famiglia, padre, madre eventualmente figli. Ci sono elementi da nouvelle vague, c’è Jean-Pierre Léaud come giovane cineasta della nouvelle vague.
Quindi lui si rivolge al cinema della nouvelle vague e a Hollywood come a una sintesi del cinema che a lui piace…
Noi abbiamo avuto la fortuna di avere vent’anni quando si riscopriva in Italia in cinema hollywoodiano e la nouvelle vague che in Italia non convinceva molto la critica ufficiale di cui noi non facevamo parte, salvo À bout de souffle e I Quattrocento colpi, così come aveva ignorato i grandi classici del cinema americano. Noi siamo la generazione che ha riscoperto, grazie ai francesi, sia il cinema hollywoodiano classico – Hitchcock, Hawks, Ford – sia abbiamo capito la nouvelle vague subito, appena i film venivano fatti, andavamo a Parigi per vederli in versione originale perché poi quando arrivavano in Italia si vedevano versioni storpiate, come Il Disprezzo di Godard.
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