lunedì 11 giugno 2018

RECENSIONE LAZZARO FELICE. F. FERZETTI, Lazzaro felice, una favola lieve e straziante, l'espresso, 8 GIUGNO 2018

n ragazzo di campagna, troppo buono per stare al mondo, muore, risorge e scopre che il mondo è cambiato. Non necessariamente in meglio. Il terzo film della dotatissima Alice Rohrwacher condensa la tragedia dell’Italia moderna, ovvero modernizzata, in una fiaba lieve e straziante che rimescola con libertà poetica, umorismo e immagini sempre calde di stupore, le fonti più diverse. 



La storia della marchesa che approfittando dell’isolamento delle sue terre le tiene ancora a mezzadrìa, sfruttando i contadini senza pietà, è addirittura un fatto di cronaca (nemmeno remoto: 1982). Il resto nasce dall’osservazione diretta, come già in “Le meraviglie”, di un mondo al tramonto ma carico di umori e di storia; dalla capacità di fondere in uno stesso racconto le disumanità del presente e la leggenda di San Francesco risparmiato dal lupo; infine dal desiderio di fare un cinema che coniughi invenzione e testimonianza, intelligenza delle cose e amore per i personaggi. Un amore religioso, a suo modo pasoliniano, che dà al protagonista una luce di santità inconsapevole, dunque autentica.

Per dirla con l’autrice, «una piccola santità senza miracoli, senza poteri o superpoteri, senza effetti speciali: la santità dello stare al mondo e non pensare male di nessuno, ma semplicemente credere negli altri esseri umani». Per evocare «la possibilità della bontà, che gli uomini da sempre ignorano, ma che si ripresenta e li interroga come qualcosa che poteva essere e non abbiamo voluto».

Fragile e incantevole come il suo antieroe (l’intonatissimo Adriano Tardiolo), “Lazzaro felice” racconta uno sguardo, così disinteressato e innocente da generare allarme e ostilità. Ma lo fa con la calma allegria di una regista sempre più consapevole dei propri mezzi e della propria provenienza (l’Italia pasoliniana delle pale d’altare e dei “borghi abbandonati sugli Appennini”). Non più promessa, ma certezza.

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