mercoledì 26 agosto 2020

ASPROMONTE. LA TERRA DEGLI ULTIMI (2019). UN FILM DI M. CALOPRESTI. M. RIZZO, "Aspromonte, la terra degli ultimi", quando il Cinema indaga sulle disuguaglianze, REPUBBLICA.IT, 11 gennaio 2020

 ROMA – Il film di Mimmo Calopresti, "Aspromonte, la terra degli ultimi", prodotto da Federica e Fulvio Lucisano (che compare nelle scene finali), si arrampica nell’ultima delle montagne della Sila più aspra dell’Aspromonte, eppure vicina al mare, e denuncia come la mancanza di infrastrutture, luce, assistenza, possano togliere ogni forma di dignità, in ogni tempo e in ogni parte del mondo in cui lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo diventa motivo di lotta per la liberazione.






Una strada per non morire: la storia del film. È il 1951, la guerra è finita da poco. Se l’Italia è a brandelli, Africo è l’ultimo sputo prima dell’inciviltà: non c’è luce, né una strada di collegamento con i paesi della costa, né un medico. Quando una donna muore di parto, perché il dottore non arriva, esplode la rabbia. Guidati da Peppe (Francesco Colella), gli abitanti di Africo decidono di costruirsi la strada da soli. Ma c’è chi si oppone: il sindaco della Marina (Francesco Siciliano), che disprezza e ignora quella povertà, e Don Totò (Sergio Rubini), che vuole mantenere il potere sul territorio. La lotta si fa aspra e le vicende per la costruzione della strada diventano voglia di riscatto. “Nei miei film, spesso mi soffermo su suggestioni - dice Calopresti - qui invece mi sono dedicato ai fatti: la necessità di costruire una strada”. La fotografia, le scene, mostrano immagini che riportano al Realismo francese di Delacroix o di Courbet, e le scene di masse di calabresi richiamano Pellizza da Volpedo.

Marcello Fonte, il poeta. Il film di Calopresti, tratto dal romanzo Via dall’Aspromonte (2017, Rubbettino Editore), di Pietro Criaco, è ambientato nel primo dopoguerra, ma potrebbe essere oggi, per il suo sguardo tragico, eppure soave, sulla disuguaglianza. Tutta la leggerezza è affidata a un Tiresia moderno, interpretato da Marcello Fonte: etereo e instancabile disegnatore delle montagne che circondano la vita sospesa tra prevegenza e poesia.

Una parte per il tutto. Mimmo Calopresti si chiude ad Africo e racconta povertà, abbandono delle istituzioni, prevaricazione del latifondo, sfruttamento ostinato delle persone più povere; presa di coscienza, ribellione piena di dignità, liberazione dal potere da parte di persone che tentano di diventare cittadini del mondo, al di là dell’Aspromonte. Che poi, come quei cittadini del mondo che hanno la speranza di diventare liberi, in realtà non saranno altro che operai nelle fabbriche, nelle miniere, nei campi del Nord Italia, d’Europa, dell’America tutta, dell’Australia. E saranno trattati da bestie, proprio come accade oggi, con i migranti dall’Africa e dal Medio Oriente. Tutto questo, Calopresti lo dice in un'ora e mezzo di film. Dove uno spazio d'aria è offerto da una maestra bionda (Valeria Bruni Tedeschi), di Como, che parla un italiano perfetto: un’aliena in Aspromonte. 

“La scelta di stare con chi ha bisogno di diritti”. “La voglia di costruire la strada è uno stimolo, un pretesto per dire che bisogna conquistarlo quello che si vuole - dice Calopresti - non è mai il potere che concede, bisogna cambiare prospettiva, avere fiducia più che speranza, facendo una precisa scelta di fondo: stare con chi ha bisogno di diritti. L’idea di schierarsi con gli ultimi riguarda tutti noi. Nel mio percorso, questo film ha voglia di stare vicino a un mondo che è il mio, della mia famiglia. Un mondo popolare. Mentre si parla di populismo, io voglio essere popolare - sottolinea Calopresti - questo film mi tocca particllarmente, mi mette vicino al mio vero pubblico: la gente del popolo".

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