Le sequenze iniziali de LA PRIMA NOTTE DI QUIETE mi sono apparse, all’ improvviso, come simbolicamente premonitrici di uno dei temi del film: la deriva esistenziale. Non avevo mai esaminato bene queste immagini. Dopo la morte di Delon, ho visto che, online, sul film sono state scritte diverse recensioni e molto materiale è stato riversato in questi anni come pure, nel 2000, c'era stato il restauro del film e l'uscita di una pubblicazione corposa per la cura e con l'intervento “riparatore” di Lino Micciche’ che, nel 1972, aveva stroncato la pellicola. Proprio poche settimane prima della morte di Delon, il film era tornato nuovamente nelle sale.
Ci sono interventi critici che si attardano su queste sequenze iniziali, ma non decifrano quanto a me è apparso chiaro di getto. Si tratta della spiegazione intuitiva, sensibile, in forma emblematica e metaforica, della condizione in cui si trova il protagonista della storia: un uomo, letteralmente, alla deriva.
Il battello che arriva sulla costa riminese battendo bandiera straniera, addirittura australiana a dimostrazione della perdita di orientamento spaziale e geografico in cui veniamo immersi, è la rappresentazione concreta dello stato d'animo del professore. L'uomo all'interno dell'imbarcazione chiede a Daniele Dominici come si chiami il posto in cui è approdato: come un naufrago, pare anche lui arrivato da qualche parte casualmente, senza avere cognizioni precise su dove sia finito navigando. Il battello, in realtà, si è danneggiato e il timoniere chiede se sia possibile trovare un meccanico.
Dopo che Daniele gli ha risposto che la città si chiama Rimini e che si trova a metà strada fra Ancona e Venezia, la moglie dell'uomo gli chiede, in italiano, come sia questa piccola città. Ma Daniele risponde di non saperlo perché anche lui è arrivato solo quel giorno. Dopo aver salutato e lasciata la coppia un pò sorpresa, il professore si incammina da solo e a testa bassa lungo il molo. Partono la musica e i titoli di testa.
Sulle origini, sulla provenienza, sui progetti di Daniele il film dissemina nel corso del racconto vari indizi. Anzi, per certi aspetti la storia si presenta come un giallo (D. Meccoli, nella recensione su “Epoca”, 12.11.1972, dice che Zurlini aveva definito il film “un thrilling dei sentimenti”)
Non solo per i torbidi connotati che circonderanno la personalità di Vanina, la ragazza di cui si innamorerà Daniele, ma anche per il quadro sfocato di sé fornito, all'inizio, da Dominici, a partire dall'incontro con il preside. Il quale, al momento di leggere il curriculum, che non ricostruisce una storia professionale certo vocata all'insegnamento, chiede a Daniele se, per caso, con allusione al recente passato fascista con il quale il preside ancora simpatizza, non fosse figlio del “famoso comandante Dominici, medaglia d'oro della Folgore”. Ma il professore nega decisamente. E alla domanda “come mai ha scelto proprio Rimini?”, la risposta è “ perché non c'ero mai stato”.
Il protagonista sta mentendo: a Rimini c’era stato da adolescente e pur non essendo molto in là negli anni, si trova già in un secondo tempo della sua vita in cui il ricordo di una felicità troppo breve per il suicidio della giovane cugina è diventato, comunque sia, più importante di un presente che non avrà futuro.
Appare evidente da tutto questo che lo sradicamento, l'estraneita’, la disidentita’ sociale sottolineata anche dalla discontinuità con cui è stato praticato l'insegnamento negli anni, il naufragio, sono caratteri che scolpiscono profondamente e da subito il protagonista.
Sarà la storia, l’amicizia con uno dei membri del gruppo di volgari vitelloni locali (Spider) che diventerà il proprio confidente, a rivelarci qualcosa di più (ma non tutto) rispetto ai misteri di partenza.
In uno degli interventi raccolti da Miccichè, “La prima notte di quiete. Un viaggio ai limiti del giorno” (Lindau, 2000), T. Masoni (Con autobiografica malavoglia) scrive: “Che l’arrivo nel porto di Rimini della barca inglese sia posto come un vero prologo, cioè prima dei titoli di testa, conferma, credo, l’intenzione di fare dell’episodio un archetipo. Il regista sceglie un luogo di pausa dove il fuori-stagione evoca la fine del tempo e l’inverno stende su tutto la monocromia dei grigi. Il fuori-stagione fa pensare ad una pausa della Storia stessa o a un irrecuperabile ritardo: non è forse arretrata anche la ‘lotta politica’ dei liceali con cui Dominici entra in contatto? Fuori-stagione sono poi gli spazi, sia gli esterni troppo ampi, le spiagge dismesse con gli stabilimenti alla “deriva” e le cabine sbarrate, la campagna lacunosa per le nebbie e le strade che talvolta l’attraversano con brutalità, sia i luoghi chiusi” (86) Al momento è l’unico critico che abbia suggerito interpretazioni significative di queste sequenze nautiche premonitrici del naufragio esistenziale raccontato da Zurlini
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