martedì 26 dicembre 2017

HAPPY END DI M. HANEKE. M. FAGOTTO, Gruppo di famiglia in uno smartphone, 27 dicembre 2017

   La grande borghesia contemporanea sembra dedita solo a soddisfare il proprio desiderio sessuale, mentre non c’è più niente che la coinvolga nel senso del consumo ostentatorio dei simboli della grande cultura del passato (la sequenza del concerto della violoncellista davanti alla famiglia e ai parenti riuniti del patriarca che celebra i suoi 85 anni è esilarante. En passant, sembra che Haneke denunci la fine che la musica ha fatto anche nei Paesi di tradizione protestante così attenti, nel passato, a questa pratica di ispirazione religiosa).









   Una ricerca di soddisfazione carnale anaffettiva e telematicamente mediata, si potrebbe dire,  che coinvolge i due figli del patriarca: dal medico primario Thomas, che in chat con la violoncellista Claire ci descrive i desideri perversi di entrambi, alla figlia del patriarca che parla continuamente al telefono in inglese con il suo futuro fidanzato e compagno in affari spregiudicati; dall’altro lato ci sono, invece, i figli dei figli, dal figlio depresso e alcolista a cui la madre chiede se ci sia di mezzo una delusione amorosa alla figlia di primo letto di Thomas che, appena tredicenne, scopre la tresca in chat del padre che le farà, poi, dire “Ti ho sentito al telefono, in spiaggia: tu non ami nessuno”.
   Tre generazioni a confronto, di cui la più antica e la più recente sembrano essere quelle più “sane” (come non interpretare così la confessione del vecchio patriarca George Laurent alla bambina, di aver soffocato la moglie gravemente malata, tema di un altro film di Haneke, Amour, dove, appunto, l’uccisione della moglie era stata ispirata dall’ amore per lei).

   La generazione di mezzo, quella di Thomas e Anne, entrambi segnati da precedenti matrimoni e nuove relazioni non riuscite, sembra, invece, rivolta a godersi la vita in ossequio ai principi delle “finalità senza scopo” proprie del capitalismo contemporaneo; cosa che fa dimenticare loro, innanzitutto, le responsabilità genitoriali (Thomas dice alla piccola Eve di essersi dimenticato di fare il genitore per cui la sua improvvisa presenza – la piccola viene accolta a casa loro perché la madre ha tentato il suicidio- lo imbarazza); Anne, tutta presa da problemi economici e dalla relazione con un finanziere si dimentica a sua volta del figlio che vive con senso di colpa il suo status di privilegiato a fronte di una umanità schiavizzata (è lui che denuncia, davanti ad una platea ipocrita e scandalizzata, la realtà scomoda dei migranti  e dei giovani profughi africani).
   Ultimi, appunto, i due figli, in qualche modo, innocenti solo perché più giovani ed arrivati forse loro malgrado sulla scena terribile del nostro tempo. Più giovani, più innocenti, eredi dello stato di cose che hanno trovato e che vorrebbero, perciò, scaricarsi di queste colpe di cui non vogliono sentirsi corresponsabili.

Molte sequenze, anche lunghe, sono girate in soggettiva e ci mostrano gli eventi o attraverso lo schermo di un computer o quello di un cellulare. Una modalità di ripresa volutamente provocatoria nei riguardi dello spettatore e delle sue aspettative: “Non irritatevi, cari spettatori, a vedere un film attraverso il display di uno smartphone quando, ogni giorno, fate esattamente questo: guardate il mondo esattamente così”.

   Mentre stavo seguendo il film, davanti a me, sulla sinistra, un signore ha estratto per almeno 3 volte durante la proiezione il suo cellulare per scrivere o guardare non so cosa!!!!

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