Con la scomparsa di Carlo Vanzina, che se ne è andato nella sua Roma a 68 anni, perdiamo molto di più del cantore dei Parioli, delle vacanze a Cortina, delle estati a Castiglioncello, dei mantecati de mamma, de sta papaja me se rinfaccia, delle finte bionde, degli yuppies, della viuuulenza dei terruncielli milanesi al ciento per ciento.
Perché Carlo, la metà esatta dei fratelli Vanzina, che non era solo un marchio di fabbrica di tutto un certo cinema, e che comunque ha firmato, sia col fratello Enrico come sceneggiatore sia come regista, la bellezza di 66 film, da Luna di miele in tre al recente Caccia al tesoro, remake di Operazione San Gennaro di Dino Risi, era tutto ciò che rimaneva della nostra grande commedia all’italiana degli anni ’50 e ’60.
Perché Carlo, la metà esatta dei fratelli Vanzina, che non era solo un marchio di fabbrica di tutto un certo cinema, e che comunque ha firmato, sia col fratello Enrico come sceneggiatore sia come regista, la bellezza di 66 film, da Luna di miele in tre al recente Caccia al tesoro, remake di Operazione San Gennaro di Dino Risi, era tutto ciò che rimaneva della nostra grande commedia all’italiana degli anni ’50 e ’60.
Il giusto e l’unico regista in grado di proseguire una grande tradizione di cinema italiano che aveva appreso dal padre Steno, ovviamente, ma anche da Mario Monicelli, del quale fu a lungo assistente, e da Dino Risi, al quale fu, assieme al fratello Enrico, molto legato. Tra i 66 film che ha firmato da regista troviamo capolavori del nostro cinema come Vacanze di Natale, Sapore di mare, I fichissimi, Eccezziunale veramente, Le finte bionde. Per non parlare dei gialli, Tre colonne in cronaca, con un Gian Maria Volonté –Scalfari veramente da paura, Sotto il vestito niente, Mystere. E troviamo i primi fondamentali cinepanettoni, tutti prodotti da Aurelio De Laurentiis, che dettero il via all’intera serie.
Cinefilo vecchio stampo, innamorato del cinema americano classico, Luca Guadagnino mi ha scritto ieri che era il suo regista preferito della post nouvelle vague italiana, Carlo Vanzina si è mosso sempre dentro il mondo della commedia, con quel rispetto, quell’amore che si ha solo per le grandi cause, per la Roma, calcisticamente parlando, i Vanzina erano grandi tifosi, al partito comunista, anche se i Vanzina, pariolini, votarono Berlusconi quando si presentò alle elezioni la prima volta, ma dimostrarono poi di aver capito prima di tanti altri il disastro della politica italiana. E furono i primi, con S.P.Q.R., tanto odiato da Roberto Silvestri sul «manifesto», a dar vita a un film su Mani pulite, con Christian tangentaro e corruttore («Clelia, famme na pompa!») e Boldi giudice alla Di Pietro che si lascia corrompere dalle puppe a pera di Anna Falchi.
E Carlo fu il primo anche a firmare un film che sdoganava da sinistra romana pariolina, la prima destra popolare con il personaggio di Maurizio Mattioli in Il cielo in una stanza, dove troviamo, ragazzini, due colonne del nuovo cinema italiano, Elio Germano e Gabriele Mainetti.
Perché dai maestri della commedia all’italiana, Carlo non aveva assimilato solo una regia essenziale e rapida, o l’occhio sempre vigile e ironico sui cambiamenti della nostra società, ma anche la gran dote di cogliere al volo il comico del momento, il volto giusto, il caratterista da rivalutare.
Perché dai maestri della commedia all’italiana, Carlo non aveva assimilato solo una regia essenziale e rapida, o l’occhio sempre vigile e ironico sui cambiamenti della nostra società, ma anche la gran dote di cogliere al volo il comico del momento, il volto giusto, il caratterista da rivalutare.
Sono sue assolute scoperte Diego Abatantuono, Jerry Calà, Massimo Boldi, Christian De Sica, che vengono ricostruiti come icone, prototipi del nostro cinema comico. Ma anche tutta una serie di personaggi minori, di caratteristi che faranno il sale della nostra commedia anni ’80 e ’90. Dal grande Dogui di Guido Nicheli a Marino il Bagnino di Enrico Antonelli. Film come Vacanze di Natale e Sapore di mare dimostrano una tale perfezione di messa in scena di gag e di personaggi al punto da potere essere visti e rivisti dai loro fan negli anni.
Non solo. Perché Carlo e Enrico non pensano solo a divertire, ma costruiscono ogni situazione sempre all’interno di un racconto che ha una struttura solidissima, dove tutto si chiude narrativamente. È la lezione dei maestri, certo, ma anche dei nostri grandi sceneggiatori. Non c’è un film di Carlo Vanzina, anche dei meno riusciti, che non possieda questa solidità narrativa e, al tempo stesso, che non apra a qualche comico inedito, a qualche faccia nuova, a qualche gag non ripetitiva. Ovvio che la grande stagione di Carlo sia quella legata agli anni ’80, ma anche negli ultimi film troviamo idee originali e zampate divertenti.
Elegante, divertente, sempre gentile e disponibile, Carlo Vanzina ha percorso il nostro cinema, che non brillava certo sempre per eleganza e signorilità, con uno sguardo ironico, allegro, consapevole dei vizi, dei difetti e delle qualità di chi aveva attorno. Come se avesse saputo fin dall’inizio come sarebbero andate le cose e cosa avrebbe potuto produrre, nel bene e nel male, il nostro cinema. Altro che grande bellezza. Carlo aveva una ironia e una consapevolezza tutte romane, come è stato dipinto nel bellissimo romanzo del fratello Enrico che racconta tutto un mondo che va svanendo. Se ne va con la grazia che lo ha sempre distinto in un momento che sarebbe stato ottimo per un suo nuovo film. E ci dispiace davvero di non poterlo vedere.
Nessun commento:
Posta un commento