Mettiamola giù così con una battuta, tanto per far incazzare subito tutti quanti (o quasi). Ma se il tanto atteso Suspiria di Guadagnino è in concorso a Venezia, un grande horror d’autore come il trascuratissimo Hereditary, in sala da quest’estate nella distrazione di quasi tutta la stampa nazionale, dove doveva andare?
immagine dal sito Iodonna.it
https://www.iodonna.it/personaggi/cinema-tv/2018/09/01/venezia-2018-suspiria-recensione-luca-guadagnino-tilda-swinton-dakota-johnson/?refresh_ce-cp
Ecco, tanto per dire che ogni tanto uno si sente fuori sincrono (succede, il tempo passa), e guarda con stupore e un pizzico d’invidia tutti quelli che si sono appassionati al remake del celebratissimo horror di Dario Argento. Un remake molto libero e personale, com’è giusto e come ci si aspettava dal suo autore, di cui però abbiamo cercato invano la chiave, dall’inizio alla fine del film. Per cui, con buona pace di fans e ammiratori incondizionati, proviamo a elencare qualche dubbio disordinatamente e in tutta semplicità. Con una premessa. Non mancano gli spunti, al contrario forse ce ne sono pure troppi.
C’è la Germania degli anni di piombo (tutto avviene nel 1977, nei giorni terribili dell’aereo dirottato da un commando palestinese per ottenere la liberazione dei leader della Raf, Rote Armee Fraktion, nel carcere di Stammheim, vicenda che come chi ha l’età ricorda si chiuse con il “suicidio” in prigione dei terroristi.Ma la cornice storica resta appunto una cornice, distante dal cuore pulsante del film, malgrado le intenzioni. C’è un’oscura ed efferatissima vicenda di stregoneria intrecciata alle lotte quotidiane per il potere di una scuola di danza (per il potere e per l’arte, centrale nel film), associazione che resta anche visivamente la vera idea geniale del film. C’è un vecchio psicanalista che fruga nel passato e nei sensi di colpa altrui, dimenticando se stesso.
E naturalmente c’è il lato oscuro del femminile, che qui significa stregoneria quindi sortilegi, squartamenti, allucinazioni, mostruosità, colpi di scena, coreografie capaci di procurare atroci sofferenze a distanza, corpi smembrati o agganciati a uncini, insomma tutto un repertorio horror, con relativa sospensione del senso comune, che qui dovrebbe articolarsi a una vicenda capace invece di essere letta anche con gli strumenti della verosimiglianza storica e psicologica.
Solo che appunto, tutto questo non succede. Dai dialoghi e dalle dichiarazioni degli autori si capisce che hanno tenuto ben presente tutta una certa linea selvaggia e iconoclasta dell’arte moderna, in prima linea teatro, danza e performance, ma anche questi restano enunciati teorici, non diventano un tutto organico. Restano molti momenti di grande seduzione visiva, la magnifica colonna sonora di Thom Yorke, la stravaganza cinefila di un cast che unisce vecchie glorie europeee e americane come Angela Winkler, nome di punta del nuovo cinema tedesco anni 70, o la Jessica Harper di Il fantasma del palcoscenico. Ne riparleremo più avanti. O forse no.
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