venerdì 11 ottobre 2019

CINEMA E SOCIETA' AMERICANA. JOKER. S. PRIARONE, Joker, il revisionismo supereroistico arriva al cinema, LA STAMPA, 11 ottobre 2019

«Gotham City… Forse è tutto quello che merito ormai. Forse è solo il mio inferno». Lo pensa il giovane tenente James Gordon quando arriva nella città in «Batman Year One» di Frank Miller (testi) e David Mazzucchelli (disegni), saga del 1986 che riscrive le origini di Batman. Troviamo un Bruce Wayne ventenne agli inizi della sua carriera da giustiziere mascherato e la nascita della sua amicizia con Gordon, futuro Commissario, fra i pochi poliziotti non corrotti della città.
Immagine tratta dal sito de LA STAMPA



Questa Gotham City davvero sporca, letteralmente e metaforicamente, è quella che ritroviamo in «Joker» di Todd Phillips. Il film, vincitore del Leone d’oro a Venezia grazie soprattutto alla straordinaria interpretazione di Joaquin Phoenix, sembra davvero la trasposizione cinematografica del revisionismo supereroistico degli anni Ottanta.
Non a caso è ambientato nel 1981, quando Miller stava rivoluzionando il personaggio di Daredevil, il supereroe cieco della Marvel di Spider-Man e Avengers (Batman è della DC Comics) prendendo spunto dai film noir e dalla New Hollywood anni Settanta. Gotham City è il lato oscuro di New York, mentre la Metropolis di Superman ne è la parte più luminosa. Quando alla fine degli anni Settanta Miller va a New York per lavorare alla Marvel viene rapinato quasi subito. Così, nell’introduzione di «Batman Year One» l’autore descrive la città in un albo di Batman letto da bambino che gli era rimasto impresso: «Gotham City era fatta di freddi canyon di cemento illuminati dalla gelida luce della luna, battuti dai venti e senza uscita, che sfumavano in una nuvola di luci cittadine, una nebbia bianca e umida estesa per miglia sotto di me».
È in questa Gotham City, sporca per lo sciopero degli spazzini e per le forti disuguaglianze sociali, che Arthur Fleck, individuo alienato che abita con l’anziana madre Penny in uno squallido appartamento, vorrebbe diventare un cabarettista come il suo idolo, il presentatore televisivo Murray Franklin, ma deve fare il pagliaccio per vivere. E per giunta ha un disturbo che gli provoca improvvisi e incontrollabili attacchi di risate, sempre del tutto a sproposito.
È in questa Gotham City, sporca per lo sciopero degli spazzini e per le forti disuguaglianze sociali, che Arthur Fleck, individuo alienato che abita con l’anziana madre Penny in uno squallido appartamento, vorrebbe diventare un cabarettista come il suo idolo, il presentatore televisivo Murray Franklin, ma deve fare il pagliaccio per vivere. E per giunta ha un disturbo che gli provoca improvvisi e incontrollabili attacchi di risate, sempre del tutto a sproposito.
Ma, soprattutto, «Joker» è davvero una sorta di «Year One» del Joker: sia nel film che nel fumetto si citano classici della New Hollywood come «Taxi Driver» e «Mean Streets», la pellicola anche «Re per una notte» altro film di Martin Scorsese come i precedenti, con protagonista un comico. Film interpretati da Robert De Niro che in «Joker» fa il presentatore Franklin, prima idolatrato e poi odiato da Arthur. Nel revisionismo supereroistico si riscrivono i personaggi: Thomas Wayne (Brett Cullen), il ricco padre di Bruce, in «Joker» non è il solito santino senza macchia: è un uomo potente che vuole diventare sindaco di Gotham City e liquida bruscamente Arthur al quale la madre ha detto che sarebbe il suo vero padre.
Intenso l’incontro ai cancelli di Villa Wayne fra il futuro Joker e Bruce Wayne bambino (Dante Pereira-Olson),che mette in discussione tutto quello che sapevamo del personaggio. Anche il maggiordomo Alfred Pennyworth (Douglas Hodge) che manda via bruscamente Arthur dalla villa è diverso dall’immagine tradizionale di ironico e bonario tuttofare britannico. E la ribellione scatenata, indirettamente, da Arthur quando ormai è diventato il Joker ha un ruolo nell’omicidio dei genitori che traumatizzerà il piccolo Bruce spingendolo a diventare Batman. «Joker» inoltre attua un’altra operazione, una sorta di captatio benevolentiae. Il successo di Peter Parker/Spider-Man è dovuto anche al fatto che è stato fra i primi supereroi teenager, i lettori si identificavano con lui e con i suoi problemi (i bulli che lo tormentavano, la zia May genitrice ossessivamente premurosa, le ragazze che lo ignoravano).
E anche gli autori. Faceva il fotografo freelance per il giornale Daily Bugle e quasi tutti gli sceneggiatori e disegnatori delle sue storie sono stati dei freelance: i problemi che aveva Peter a farsi dare del lavoro e a farsi pagare dal direttore del giornale J. Jonah Jameson erano anche i loro. Il film fa qualcosa di molto simile con un protagonista come Arthur Fleck, che vive con la madre (il massimo della sfortuna in America) e che è senza ragazze (un incel, acronimo di «involuntary celibate», celibe involontario).
Scrive infatti Raffaele Alberto Ventura, autore di «Teoria della classe disagiata» (minimun fax) libro su una generazione che vive al di sopra delle proprie possibilità passando da un lavoro precario intellettuale all’altro: «Tutti cerchiamo il nostro “ikigai”: il modo di fare coincidere quello che amiamo, quello che siamo bravi a fare, quello di cui il mondo ha bisogno e quello per cui possiamo essere pagati. La tragedia di Arthur Fleck è che quello che amerebbe fare è lo stand-up comedian, quello per cui è pagato è fare il pagliaccio in strada, mentre quello in cui è davvero bravo è, beh, ammazzare innocenti. E questo non è sicuramente quello di cui il mondo ha bisogno».

Joaquin Phoenix, che regge da solo il film, è un Arthur Fleck/Joker eccezionale: uno psicopatico con il quale si prova, a tratti, empatia e che (qui forse Ventura si sbaglia) non ammazza solo innocenti, innesca una rivolta, liberatoria, che forse è proprio di quello di cui lo spettatore (se non il mondo) ha bisogno. “Batman Year One” si chiude con Gordon che sta per chiamare Batman. «C’è un pazzo che ha minacciato di avvelenare le riserve idriche di Gotham – pensa.  Si fa chiamare Joker. Ma io ho un amico che potrebbe darmi una mano». Dopo aver visto «Joker» viene quasi spontaneo tifare per il «pazzo».

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