venerdì 18 novembre 2022

CINEMA E STORIA. ESTERNO NOTTE E IL CONTESTO POLITICO. ROMOLI D. Esterno notte, perché senza il contesto politico l’uccisione di Moro è pura metafisica, IL RIFORMISTA, 18 novembre 2022

 È stupefacente come quasi tutte le innumerevoli ricostruzioni del delitto Moro astraggano dal contesto politico ed economico, nazionale e internazionale: limite a cui non sfugge del tutto neppure Esterno Notte di Bellocchio, che pure è uno dei tentativi più seri di ricostruire complessivamente quei 55 giorni. Il sequestro e l’uccisione del presidente della Dc appaiono come sospesi nel vuoto, oppure spiegati con una ricostruzione d’ordinanza, infondata e fiabesca: quella secondo cui il delitto mirava a impedire l’arrivo al governo del Pci berlingueriano. Manca sempre la percezione della drammaticità della situazione, il riflesso di una crisi che era la più grave nella storia della Repubblica anche prima della strage di via Fani e indipendentemente dalla tragedia dei 55 giorni.


 Eppure senza tener conto di quel contesto diventa impossibile spiegare le scelte che portarono al tragico epilogo della vicenda, se non affidandosi appunto a versioni da spy-story dozzinale.La crisi che si snodò nel triennio 1976-79 e il cui esito fu deciso in larga parte dalla tragedia di Moro aveva tre aspetti diversi. Politicamente era conseguenza di una tornata elettorale, quella del 1976, dalla quale non erano emersi vincitori e vinti e che pertanto rendeva il Paese ingovernabile. Nelle democrazie, situazioni del genere sono sempre delicatissime. In Italia, recentemente, la stessa cosa si è verificata sia nel 2013 che nel 2018. Però azzardare paragoni tra la situazione attuale e quella di metà anni ‘70 sarebbe assurdo. Nei decenni della guerra fredda e della contrapposizione tra i due blocchi, l’assenza di un vincitore lasciava aperta come soluzione solo l’intesa fragile ed effimera tra partiti che ancora si guardavano reciprocamente come espressioni del blocco avversario, dunque come “belligeranti”. Il problema numero uno per i leader politici, sia alla vigilia che nei giorni del sequestro, era come uscire dallo stallo risolvendolo in una direzione o in quella opposta: con la vittoria del Pci, che certo avrebbe cercato di governare con la Dc ma in posizione di forza, o con quella della Dc. La paura che nuove elezioni anticipate registrassero quel sorpasso del Pci sulla Dc che era stato temutissimo alla vigilia del voto del 1976 condizionò le scelte del governo e della Dc in quella crisi politica di prima grandezza che fu il sequestro Moro.La crisi era anche internazionale. Insediatasi alla Casa Bianca poco più di un anno prima, alla guida di un Paese smarrito dopo Watergate e dopo il disastro del Vietnam, l’amministrazione Carter adottava una dottrina opposta a quelle dell’amministrazione Nixon-Kissinger: la “non ingerenza”. Formula tanto suggestiva quanto indefinita. Nella guerra fredda una vera “non ingerenza” era impossibile. Si trattava quindi, più realisticamente, di dosare l’inevitabile ingerenza. Per gli Usa di Carter l’ipotesi di un governo italiano comunista o anche solo con la partecipazione dei comunisti era inaccettabile, nonostante le parziali rassicurazioni dell’ambasciatore in Italia Gardner. Anche un governo votato anche dai comunisti pur senza che ne farne parte era per la Casa Bianca un boccone quasi indigeribile. Infine la durissima crisi economica e sociale imponeva misure che avrebbero colpito soprattutto le fasce più povere e la classe operaia ma la forza dei sindacati, ancora immensa, rendeva impossibile procedere su quella strada senza il loro assenso. Per ottenere il quale il sostegno del Pci era imprescindibile.La strage di via Fani piombò su questo rebus già quasi irresolubile. Il Pci non poteva che impugnare il vessillo della fermezza, perché aveva fondato la propria immagine vincente proprio sul presentarsi come il solo partito davvero dotato di senso dello Stato, serio e rigido al punto di chiedere sacrifici alla propria stessa base sociale in nome dell’interesse nazionale. Berlinguer avrebbe scelto la fermezza comunque ma a maggior ragione dopo che i sindacati avevano chiarito al premier Andreotti, il giorno stesso del sequestro, che dopo l’uccisione di cinque lavoratori in divisa non avrebbero accettato uno scambio per liberare il leader politico sequestrato. La Dc non poteva trattare perché in caso contrario il Pci avrebbe certamente provocato la crisi ed elezioni anticipate che, presentandosi come solo vero difensore della fermezza in difesa dello Stato, avrebbe probabilmente vinto.È probabile che la visione di Moro fosse meno truffaldina e non si limitasse, come per il grosso del suo partito e per Andreotti stesso, a cercare di mettere in trappola il Pci. Moro mirava davvero ad assorbire nel sistema il Pci, disinnescandone le valenze innovative ma proprio per questo legittimandolo quale forza di governo, come aveva fatto con il Psi e come avrebbe proposto di fare, dal carcere del popolo di via Montalcini, persino con le Br. Ma sia le sue parole che il suo modus operandi indicano che si sarebbe dovuto trattare, nella sua visione, di un processo lungo e lento. Del resto, l’uomo era troppo consapevole dei rapporti di forza internazionali per non sapere che gli americani non avrebbero accettato passi ulteriori oltre quello che già avevano subìto molto malvolentieri e con immense resistenze, cioè la maggioranza allargata al Pci.La fase cruciale che va dal 1976 al 1979 segnò anche l’inizio della fine per la prima Repubblica, perché a declinare fu il bipolarismo Dc-Pci che ne era stato la colonna vertebrale, sostituito da un gioco di potere tutto interno alla maggioranza di centrosinistra, in concreto alla Dc e a Bettino Craxi. Dire come si sarebbe conclusa quella fase di snodo senza le tragedie di via Fani e di via Caetani naturalmente è impossibile. Di fatto però fu la crisi tutta politica dei 55 giorni a deciderne l’esito e a condizionare di conseguenza l’intero percorso del decennio successivo, fino al tracollo della prima Repubblica all’inizio degli anni ‘90. Senza avere presenti la difficoltà e la drammaticità dell’intera fase nella quale intervenne la crisi Moro diventa impossibile mettere a fuoco le scelte politiche dei protagonisti. È una trappola nella quale cade anche Bellocchio e che lo porta a sottovalutare il ruolo invece determinante che ebbe il Pci nei 55 giorni, il vero limite della sua ricostruzione.


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