Il centenario di Pier Paolo Pasolini, che anche in troppi si arrabattano a celebrare, si arricchisce di un altro ulteriore «regalo» dell’ipotetico compleanno. Ovvero la rivelazione del fatto che quella notte fatale all’Idroscalo di Ostia il poeta e regista si fosse recato per ottenere, con qualche tipo di scambio, dei brani di pellicola del film che andava preparando, e che avremmo visto solo dopo la sua uccisione, ovvero Salò e le 120 giornate di Sodoma.
Un pezzo della pellicola che era stata già girata e lavorata, e che era sparita qualche giorno prima in un misterioso furto dagli stabilimenti di Cinecittà. Potrebbe suonare come un’abile ennesima montatura, ma ad affermarlo è una fonte stavolta insospettabile, la Commissione Antimafia. La voce arrivata ieri dice addirittura che nella «gestione» dell’affare, fosse operante la Banda della Magliana, che per altro proprio in questi giorni è appena tornata sui giornali con l’ipotesi di aver gestito (pochi anni dopo l’uccisione del poeta) il rapimento e la sparizione di Emanuela Orlandi e dell’altra ragazza legata al Vaticano e scomparsa, ma in quel caso rispondendo a un onnipotente monsignore vaticano già noto per il suo «interventismo».
SE NON FOSSE per la fonte autorevole da cui viene l’indicazione e per la notizia, vera, delle pizze cinematografiche rubate, potrebbe sembrare una sorta di campagna di beatificazione di Renatino De Pedis e dei suoi soci. Ma certo non si può negare come quel film, pur uscito postumo nelle sale, abbia segnato divisioni anche laceranti nel pubblico, e pure in parte dell’ambiente cinematografico. Solo poco tempo fa il regista Pupi Avati ha raccontato come egli, allora agli inizi della sua carriera, fosse stato chiamato come sceneggiatore e assistente per il film, ma che dopo aver letto il soggetto e le tracce fornitegli da Pasolini, avesse decisamente rinunciato all’incarico, infastidito dalla materia su cui avrebbe dovuto lavorare. La difesa del resto fu allora soprattutto «di bandiera», ideologica e affettiva nei confronti dell’autore.
Sulla sua fine indagini approfondite sono state compiute, più che dalla magistratura, dall’instancabile Laura Betti con i nomi di maggior peso della cultura italiana
Nonostante Pino Pelosi, morto cinque ann fa, sia stato condannato e abbia scontato il carcere per le accuse relative a quella notte (ma le indagini non hanno mai convinto per la loro sommarietà), il mistero rimane e attende una soluzione plausibile. Uno dei pochi superstiti di quel film e di quella temperie, è Paolo Bonacelli, uno dei protagonisti del film.
A LUI, AD ESEMPIO, non sembra da escludere il fatto che Pasolini si sia recato davvero a un appuntamento ai confini del mondo, come era allora l’Idroscalo, perché, sostiene l’attore, «Pasolini amava le sfide, e non aveva paura se davvero gli avessero proposto uno scambio per riavere la pellicola». Ipotesi plausibile, confermata dalle particolareggiate ricostruzioni penali, per cui tranquillo se ne andava quella sera, prima che a Fiumicino, in giro per Portonaccio, piazza Esedra, e infine a cena al Biondo Tevere…
Sulla sua fine indagini approfondite sono state compiute, più che dalla magistratura, dall’instancabile Laura Betti con i nomi di maggior peso della cultura italiana (da De Mauro a Raboni). Il Fondo Pasolini era nato praticamente apposta, per rendere giustizia a un grande poeta misteriosamente e sanguinosamente rapito dagli dei, come dimostra il sostanzioso volume che ne ricostruisce le indagini sulla morte.
A preoccupare ora, oltre all’assenza del poeta che ci è stato strappato, è lo scenario romano, che risulterebbe legiferato e orchestrato per tutti questi anni dalla banda della Magliana. Troppo grossa, e insieme troppo semplice, è la possibilità di quell’incontrastabile dominio. Come canta Giovanna Marini nel suo «lamento per la morte» del poeta, a noi non resterebbe davvero che sommessamente cantare «persi le forze mie, persi l’ingegno».
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