Classe 1942, Werner Stipetic in arte Werner Herzog ha compiuto 80 anni, così come i suoi più anziani colleghi e fondatori del Nuovo Cinema Tedesco, Alexander Kluge e Edgar Reitz, che, invece, essendo entrambi del ‘32 ne hanno compiuti ben novanta. In particolare Herzog è ancora in piena forma e attività: solo quest’anno ha pubblicato, al pari del collega Edgar Reitz, una autobiografia, Jeder für sich und Gott gegen: Erinnerungen («Ognuno per sé e Dio contro tutti: Memorie»), parafrasando uno dei suoi film più famosi che in italiano si intitola invece L’enigma di Kaspar Hauser; si è sottoposto alla insidiosa tagliola di un documentario sulla sua opera e personalità: Werner Herzog – Radical Dreamer per la regia di Thomas von Steinaecker (presentato allo scorso Festival dei Popoli di Firenze); e last but not least ha girato lui stesso un meraviglioso doc su una delle sue ossessioni ricorrenti, quella della vulcanologia: The Fire Within – A Requiem for Katia and Maurice Krafft, appena passato in anteprima italiana al Torino F.F.
La sua è una carriera esemplare da vero maestro (è qui la parola ci sembra usata in modo calzante): aveva iniziato a quasi vent’anni, con un corto di dodici minuti Herakles (1962), l’anno successivo ha fondato la propria casa di produzione nella nativa Monaco con cui realizzerà, tutti o quasi, i suoi lavori a partire dal primo lungometraggio Lebenszeichen («Segni di vita») del 1968. Sono poi seguite opere come il documentario-fiaba Fata Morgana (Id., 1971) e altri importati lavori di non fiction, oltre a dei film eccellenti: da Aguirre, furore di Dio (1972 con Klaus Kinski, il suo attore preferito) al già citato Kaspar Hauser, da Nosferatu, principe della notte (1979, remake del classico film di F.W. Murnau) sino al celebre Fitzcarraldo (1982) al culmine di un primo straordinario periodo di attività cinematografica. E qui ci dobbiamo fermare, altrimenti le cose andrebbero troppo per le lunghe a sviscerare, tra alti e bassi, una ancor lunga e prolifica filmografia che arriva sino appunto all’oggi con The Fire Within.
Per capire meglio questa ultima opera, per noi uno dei culmini in assoluto del suo cinema, dobbiamo iniziare da lontano: nell’agosto del ‘76, il regista monacense «saputo dell’imminente eruzione vulcanica, che l’isola di Guadalupa nelle Antille francesi era stata evacuata e che un contadino si era rifiutato di andarsene» decide di andare lì «a parlare con lui e scoprire che tipo di rapporto aveva con la morte».
Ne è nato un cortometraggio di mezz’ora, La Soufrière (1977), straordinario, in cui racconta con la sua inimitabile voce- off (allora ancora in tedesco – un suo marchio di fabbrica) la visita su quel luogo dove si prevedeva un’eruzione devastante del vulcano. L’isola caraibica era ormai deserta – siamo ancora in un’epoca dove il controllo televisivo non è ancora totale come dalla guerra del Golfo in poi –, 75.000 persone erano state evacuate, anche gli ultimi scienziati aveva abbandonato la zona. Herzog esplora le strade deserte della città di Basse-Terre, con i suoi due cameramen riprende le nuvole di vapore sulfureo e di fumo e le pendici del vulcano in attesa della catastrofe. Che però, incredibilmente, non avviene. Commento finale (sempre dell’autore in voice over) sulle note di musica wagneriana: «Per noi le riprese di questo film hanno assunto un aspetto patetico e così tutto è finito in un nulla di fatto e nel ridicolo più completo. Ora diventerà il documentario di una catastrofe inevitabile che non si verificò».
Tante volte poi il regista monacense è tornato a raccontare eventi eccezionali della natura, mentre quel tema specifico ritorna esplicitamente in due opere del 2016: il doc Into the Inferno (Dentro l’inferno) – una esplorazione sui vulcani attivi in Indonesia, Islanda, Corea del Nord ed Etiopia con l’aiuto del vulcanologo britannico Clive Oppenheimer – e poi come sottofondo narrativo nel film di fiction (non molto riuscito) Salt and fire.
Infine, bisognerà ancora ricordare Grizzly Man (2005) che tematicamente non c’entra nulla con l’argomento trattato. Si tratta – lo ricordiamo – di un doc nato dalla vicenda dell’esploratore e ambientalista Timothy Treadwell che, per tredici anni, aveva vissuto nel Parco nazionale di Katmai in Alaska in simbiosi con i grizzly. Dal 2000 al 2003, sino a quando l’uomo non era morto tragicamente sbranato da un orso non abituato alla sua presenza, aveva realizzato più di 100 ore di documentazione di questa eccentrica esperienza con quegli animali feroci di cui si abituato a sentirsi amico. Herzog ne ha ricostruito la storia, usando circa il 70% di quel materiale: in esso Treadwell non riprendere solo la vita degli orsi ma parla di se stesso, del suo rapporto con gli uomini e il mondo.
Stessa cosa accade, pari pari, in questo ultimo The Fire Within – A Requiem for Katia and Maurice Krafft che unisce e mixa l’indagine psico-antropologica e la auto-documentazione di Grizzly Man all’interesse herzoghiano per gli eventi naturali, soprattutto dei vulcani, con le loro conseguenze sull’uomo.
Si tratta di un Requiem, come specifica il sottotitolo, ovvero di un «diario verso la morte» di nuovo Dentro l’Inferno. La celebre coppia di vulcanologi francesi Katia e Maurice Krafft, infatti, erano deceduti durante il loro lavoro di osservazione, inghiottiti da un letale flusso piroclastico, un miscuglio di cenere e di vento velocissimo infuocato, nell’atto di riprendere il vulcano giapponese di Unzen il 3 giugno del 1991. Anche loro, come Timothy Treadwell, avevano lasciato un grandissimo archivio audiovisivo di immagini, fotografie e filmati (di loro stessi, dei tanti luoghi e dei tanti vulcani visitati e ripresi in tutto il mondo) – essendo diventati a partire dagli anni Settanta dei pionieri assoluti, delle star in materia. Con tali materiali, in parte buffi e personali, Herzog, che ne aveva già usato due minuti in Into the Inferno e che avrebbe voluto partecipare alle loro imprese, costruisce un film «paguro», appassionate e partecipe.
Non c’è bisogno di essere particolarmente acuti per capirne la ragione: ha voluto così rendere un sentito, poetico omaggio a chi ha cercato, sino a sfidare la morte, di realizzare dei filmati sorprendenti – come si dice in off nel caratteristico inglese herzoghiano – per «celebrare la meraviglia del loro immaginario … la meraviglia della creazione dallo spirito della distruzione».
Ironia della sorte proprio quest’anno è uscito un altro documentario, per altro apprezzabile – se ne è occupato su queste pagine Mazzino Montinari – Fire of Love, di Sara Dosa, che ricostruisce con la voce narrante di Miranda July le vicende di Katia e Maurice Kraft a partire dal loro materiale restaurato digitalmente. I filmati, dunque, sono in gran parte gli stessi ma l’intento di Herzog risulta completamente diverso, per nulla biografico.
Il cineasta monacense scopre nei Krafft, dietro le motivazioni scientifiche, due viaggiatori umanisti, se vogliamo, delle anime gemelle a lui affini di cui, come si è detto, celebrare l’eredità. In loro, nei sorrisi di Katia e nelle sue foto, nelle interviste di Maurice e nelle sue spericolate riprese di infinite colate di lava, va a scoprire le stesse ragioni che lo hanno portato ad essere un romantico «Wanderer», un vagabondo erratico, alla costante ricerca di immagini non-viste sparse per il mondo.
E così The Fire Within vive e palpita per quelle immagini, come se nel «vedere» fosse presente qualcosa di catartico, di magico e salvifico. Con la forza della poesia visiva in cui Herzog è un indiscusso e ineguagliato maestro.
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