Il film di Ali Abbasi, al di là del genere a cui allude e con il quale viene classificato, mi pare caratterizzato esplicitamente dall'intento di fornire un interessante documento sulla società iraniana post-rivoluzionaria e sulle sue ovvie contraddizioni. Che, se non sono quelle, esplosive, documentate dalle immagini che circolavano su Instagram fra il 2014 e il 2018 fra il 2014 e il 2018 (Rich kids of Teheran), ci riportano comunque a fare i conti con i rapporti fra i sessi (concezioni e pratiche sessuali) in una cultura dove la religione ha conservato e accentuato comportamenti e pratiche maschili le cui vittime sono le donne. Qui rappresentate secondo vari ruoli e condizioni socio/psico/economiche in cui sono costrette a vivere. Dalla sposa-bambina del protagonista-killer, alle donne prostitute (delle quali il giudice-teologo dice che sono costrette a quell'attività perché sono povere per cui il problema è politico e di questo dovrebbe occuparsi il governo!!); infine, alla giornalista che, dalla capitale, si sposta nella città santa di Mashad per seguire la vicenda e trasformarsi in detective lei stessa (una vicenda realmente accaduta fra il 2000 e il 2001: ad un certo punto, in TV, c'è l'annuncio dell'attentato alle Twin Towers del settembre 2001). L'unica donna "emancipata", anzi, accusata di essere una sgualdrina dal poliziotto che la molesta durante un approccio sessuale che non riuscirà.
L'unica donna che resiste e si ribella ai desideri maschili che le si prospettano, probabilmente votata ad un nubilato volontario visto come prospettiva distanziante resa necessaria dalla professione scelta, ma anche dall'assenza di una cultura maschile capace di mettersi in discussione (il giornalista locale che l'aiuta, in modo goffo e indeciso, ad identificare e catturare il femminicida, la guarda mentre se ne ritorna in bus a Teheran e non sa dirle niente, forse spiazzato dalla disarmante normalità di una donna che cerca di fare il suo lavoro senza trasformarsi o volersi trasformare in un'eroina vendicatrice alla Abel Ferrara o simili).
Il film è significativo perché, si diceva, costringe lo spettatore ad andarsi a riguardare la storia iraniana degli ultimi 50 anni, storia ben documentata non solo dalle varie figure femminili appena dette, ma anche dal serial killer grazie al quale veniamo messi di fronte a fenomeni come lo "shahidismo, la vocazione al martirio inculcata ai giovani soldati sbattuti al fronte nella lunga guerra contro l'Iraq (l'assassino è un reduce di quel conflitto); la convinzione morale che uccidere una peccatrice o una infedele - sempre declinata al femminile- in fondo non sia peccato. Tanto che il ragno comincia ad avere i suoi fan" (M. Gervasini, Recensione in Film Tv, 7, 2023). In effetti se un eroe nel film c'è, esso è proprio il killer, almeno agli occhi del popolo (l'opinione pubblica a cui bisogna prestare attenzione, gli dice, dopo il suo arresto, un ambiguo funzionario che gli promette falsamente di salvarlo dalla pena capitale).
Comunque la tela che pare tessuta dal killer è quella tesa fra il mondo degli uomini e quello delle donne; il primo, mondo dei poteri maschili costituiti (religioso, giuridico, politico, economico); il secondo, in parte, mondo dei sudditi all'interno del quale, però, sembra fare la sua timida apparizione un tentativo di potere costituente nella figura della giornalista, donna, che smaschera l'assassino-moralizzatore, singolare e (involontaria?) grottesca controfigura del Moretti protagonista del primo episodio del suo "Caro diario" (1993), intitolato "In vespa", mentre, andando in giro appunto in vespa per una Roma ferragostana deserta, riflette, moralisticamente, sul cinema di Hollywood e sulle periferie, degradate, romane della Garbatella e di Spinaceto.
Proprio in questo episodio troviamo la sequenza in cui Moretti "va al cinema Fiamma dove proiettano 'Henry - pioggia di sangue" (1986), un film in cui il protagonista è proprio un serial killer, per poi, disgustato dalla visione, raggiungere un critico - C. Mazzacurati - colpevole di averlo esaltato alla stregua di un capolavoro, per vessarlo nella sua stanza da letto rileggendogli alcuni passaggi delle sue più iperboliche recensioni" (F. Mazzarella, 'Caro diario' compie 30 anni, Cor. della sera, 12.11.2023).
C'è del neorealismo nel film iraniano, come pure nel film ⁹zavattiniano e rosselliniano di Moretti? Forse un neorealismo oltre se stesso, nella versione/declinazione che ne dette Rossellini (Stromboli, terra di Dio, 1950; Francesco, giullare di Dio, 1950) attraverso i protagonisti “folli di Dio”, come si definisce, ad un certo punto, il semplice muratore Saeed Hanaei?
Il regista ha ripetuto, in diverse interviste, di aver girato un film non tanto su un serial-killer, quanto su una società e mentalità dominante che condivide e approva le iniziative violente di questi giustizieri morali, alter ego illegali rispetto alla famosa “polizia morale” presente come istituzione in Iran. Ci sarebbe una società che incoraggia e difende le azioni di “pulizia - e polizia- morale” messe in atto in questi decenni e dove istituzioni pubbliche e iniziative private, alla fine, si confondono e si sovrappongono.
“Abbasi explains: "As a result of that process, the script transformed from a story about a serial killer to a story about a serial killer society." (Alex Welch, For Iranian Filmmaker Ali Abbasi, Making 'Holy Spider' Was a Political Act (Exclusive), a.frame, 2.11.2022)
Che la società abbia interiorizzato certe idee e pratiche lo dimostra la sequenza finale che mostra i due figli del serial killer, nel frattempo giustiziato, “giocare” al maltrattamento nei confronti della donna, con il maschietto che sopraffa’ la sorella, gettandola a terra, spiegando come fare per “punire” l'eventuale peccatrice. Così, comportamenti introiettati collettivamente diventano modelli educativi da trasmettere e riproporre alle nuove generazioni secondo meccanismi che tutte le culture conoscono bene:”
Da bambini giocavamo molto ad ‘arabi ed ebrei’” scrivono Asmaa Alghoul e Selim Nassib nel suo libro “La ribelle di Gaza”, uscito in Francia nel 2016, pubblicato nel 2024 dalle edizioni e/o: “Gli uni si nascondevano, gli altri li cercavano. In genere i maschi facevano gli ebrei e noi femmine gli arabi perché gli ebrei sono più forti e più brutali. Nessuno ragionava su cosa volesse dire, non facevamo politica, l'importante era divertirci”. Asmaa, la giornalista nata a Rafah in un campo profughi, cresciuta a Gaza, ma esule in Francia dal 2016, racconta la sua vita e le contraddizioni della vita a Gaza con le “donne che, anche se velate fino agli occhi, passano il loro tempo a comprarsi biancheria intima, mentre le famiglie si appassionano per le fiction turche, dove gli eroi musulmani bevono e fanno l'amore con donne che indossano rigorosamente minigonne” (Martinelli R., “A Gaza i bambini giocano a ebrei e arabi. I maschi fanno gli ebrei, La stampa, 2.03.24). Secondo Asmaa, i palestinesi di Gaza sarebbero vittime di due occupazioni e assedi: una interna, dovuto all'islamizzazione estremista di Hamas e Fatah; l'altra esterna quella israeliana: “ Non possiamo sbarazzarci della grande se non ci sbarazziamo, prima, della piccola. La verità è che siamo sottoposti a un assedio mentale molto più imponente dell'assedio alle frontiere”. Poi la spiegazione dell'ennesima contraddizione: nonostante Hamas sia un occupante interno e responsabile del radicalismo estremista islamico, l'offensiva brutale israeliana (per la quale è stata chiesta l'accusa di genocidio) costringerebbe la popolazione palestinese a tollerarne la presenza poiché “non si può rimproverare a un popolo di simpatizzare con un movimento che lo difende”. Che non sia la stessa motivazione al fondo dell'opinione pubblica iraniana che finisce per difendere le imprese del serial killer? C'è un'idea di purezza da difendere e che ha occupato/colonizzato le menti degli iraniani? Certo che si. E contro che cosa? Contro il mondo degenerato occidentale che è penetrato all'interno della società iraniana e che non smette di fare pressioni (di assediare) dall'esterno questi mondi.
Sarebbe, da ultimo, interessante indagare le motivazioni alla base della comparsa di queste figure criminali, soprattutto negli Usa, laddove il serial-killer ha trovato certamente una patria elettiva originaria servita da modello per altre cinematografie (e forse per altre società). Forse una ragione la si troverebbe in un aspetto a cui poco si fa riferimento: la base religiosa e fondamentalista che accomuna Paesi apparentemente molto diversi fra loro.
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