lunedì 11 marzo 2024

PREMIO OSCAR 2024. LA RECENSIONE DI 'OPPENHEIMER'. MONDA A., ‘Oppenheimer’, il vincitore dell’Oscar: un classico impeccabile ma senza la scintilla, LA REPUBBLICA, 11.03.2024

 Sono consapevole di andare controcorrente ma non credo che Oppenheimer sia il capolavoro di cui scrivono molti critici o cineasti del calibro di Paul Schrader, che lo ha definito “il film più bello e importante del secolo”. Intendiamoci, si tratta di un’opera dalla fattura impeccabile e avvincente, ma non ha mai la scintilla che sorprende, commuove e caratterizza le autentiche opere d’arte.



Lo stile, ipnotico e volutamente non lineare, ricorda quello di JFK Nixon di Oliver Stone: montaggio rapido e mescolanza tra colore e bianco e nero esaltato dal 70 millimetri, partecipazione di star in piccoli ruoli e continui salti temporali, già presenti nel precedente lavoro di Christopher Nolan. La struttura tuttavia rientra nell’assoluta classicità hollywoodiana: tre atti divisi nella presentazione del protagonista, la realizzazione della bomba atomica e il processo con il quale si tenta di distruggerlo

Basato sul premio Pulitzer American Prometheus, il film immortala efficacemente come il trionfo scientifico sia andato di pari passo con la mostruosità dei risultati e si avvale di interpretazioni notevoli. Se lo analizziamo su un piano prettamente spettacolare non possiamo che ammirare sequenze formidabili come quella del test atomico, l’uso percussivo della musica di Ludwig Göransson, l’efficacia con cui è raccontata la corsa contro il tempo per anticipare Hitler e Stalin nella realizzazione della bomba. Ma la costruzione privilegia la persecuzione subita dallo scienziato sul suo intimo dramma etico: non basta sentirlo dire “le mie mani sono sporche di sangue” a Truman, peraltro macchiettistico nonostante la bravura di Gary Oldman. Il rifiuto di lavorare alla bomba all’idrogeno in pieno maccartismo lo trasforma da eroe a paria, utilizzando come pretesto l’intimità con vari comunisti, nonostante lui fosse un liberal rooseveltiano. Con l’intento di renderlo più simpatico viene ignorato il suo retroterra di assoluto benessere, ma l’omissione più grave è quella relativa al fatto che si scelse Los Alamos per il test nucleare non tenendo conto dei messicani e nativi americani che abitavano nelle prossimità, che morirono come i duecentomila giapponesi di Hiroshima e Nagasaki.

È riuscita l’idea di non mostrare alcuna immagine di distruzione evocando l’orrore attraverso i dialoghi, dai quali apprendiamo che le due città vennero preferite a Kyoto perché il capo di stato maggiore era rimasto incantato dalla bellezza durante il viaggio di nozze. La scelta di sganciare l’atomica aveva l’intento di offrire sia ai nemici che agli alleati una dimostrazione di potenza, accorciando la guerra e risparmiando vite umane, ma questo tragico paradosso, che avrebbe offerto materia straordinaria sul piano artistico, rimane ai margini del racconto, eppure fu proprio lui a dichiarare “i fisici hanno conosciuto il peccato.”

Nonostante venga citata la frase del Bhagavadg?t? “sono diventato Morte, il distruttore di mondi”, rimane in secondo piano l’identificazione con Prometeo, che donò il sole agli uomini e venne punito per l’eternità.

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