martedì 14 gennaio 2020

CINEMA E POLITICA. IL FILM DI G. AMELIO SU CRAXI. F. FERZETTI, Hammamet, un grande Pierfrancesco Favino per un piccolo film, L'ESPRESSO, 14 gennaio 2020

vecchio carroarmato è arenato nella sabbia africana dai tempi dell’ultima guerra. Imponente ma inoffensivo, trasmette una hybris luciferina e insieme una solitudine definitiva, minerale. Insomma è la perfetta metafora di quell’uomo malato e costretto all’autoesilio, un esilio che molti chiamano fuga. Così, davanti a quel residuato bellico il Presidente (nel film Craxi resta innominato) decide di parlare. Di raccontare tutto a quel ragazzo venuto da lontano per ucciderlo (Luca Filippi), a cui però non può non voler bene. Perché gli ricorda se stesso da giovane. 

Perché è il figlio di un vecchio compagno suicida (memorabile Giuseppe Cederna) che aveva intuito fin dall’inizio come sarebbe andata a finire. Perché ha occhi da angelo vendicatore e una pistola nello zaino. Oltre che una videocamera con cui riprende l’ex-leader. Anche se non sapremo mai cosa questo gli dica.



In “Hammamet” infatti Amelio non vuole fare cronaca e neppure fantacronaca, bensì reinventare - poeticamente - gli ultimi mesi di un colosso caduto. Con poche concessioni alla scena politica di quegli anni (il 49° congresso del Psi, con lo schermo triangolare di Panseca un po’ Star Trek e un po’ Scientology). E molte scene che ricreano in chiave intimista la parabola del grande decisionista. Per cui Sigonella diventa un gioco di soldatini del nipotino, Tangentopoli una macchinazione, il Raphaël uno spauracchio agitato dai turisti. E Berlusconi appare solo in un vecchio tg, come un rimorso. Per alludere ai danni provocati dalle tv del Cavaliere, meglio una scena da “Secondo amore” di Douglas Sirk. Anche se sarà proprio un varietà stile Mediaset, beffarda nèmesi, a uccidere il Presidente.

Il quale però, malgrado la superba prova di Favino e di tutto il cast, resta sempre un poco astratto. Un concentrato di grandezza e bassezze destinato a scontrarsi, come re Lear, con la figlia che vuole aiutarlo (Livia Rossi), o con l’ex compagno che ha deciso di collaborare coi giudici (Renato Carpentieri). E magari a sognare, fellinianamente, il padre scomparso (Omero Antonutti, alla sua ultima apparizione purtroppo). Ma anche a restare ostaggio di un film sempre un po’ troppo obliquo e calcolato per avvincere. Raccontare Craxi senza il craxismo era un’idea seducente. Ma per farne un personaggio a tutto tondo la cornicetta del discolo in collegio non può bastare.

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